Pagani Luther King

Ripensiamoci! A 50 anni dal Sessantotto.

Sono passati ormai cinquant’anni dai famigerati eventi del 1968, e da più parti si levano voci che tentano di riconsiderarne la portata e l’importanza. Per le generazioni più giovani, per gli universitari di oggi, spesso il sessantotto è una sorta di mito: i fatti e le opinioni di quegli anni sono avvolti in un alone di mistero. Eppure, il sessantotto non è ancora argomento archeologico, anzi. C’è chi dice, come il professor PaoloPagani, docente di filosofia morale a Ca’ Foscari, che l’humus culturale che all’epoca era in ebollizione sia vivo ancora oggi, più che mai.

 

Andiamo con calma: nell’ultimo mese il professor Pagani, appunto, ha organizzato due conferenze in università (il 17 maggio e il 7 giugno), con la collaborazione della Pastorale Universitaria. Il professore, oltre a occuparsi delle sue materie di insegnamento (filosofia morale e antropologia filosofica), spessissimo propone ai suoi studenti delle riflessioni più ampie sui grandi protagonisti artistici- e per questo filosoficamente rilevanti- di cui è appassionato: Totò, Luigi Tenco, Georges Simenon, solo per citarne alcuni. Questa volta, invece, con lo stesso stile coinvolgente, ha voluto lanciarsi in una rievocazione dei fatti e delle atmosfere culturali del sessantotto.

 

Così, guidato dalle musiche degli anni ’60- ’70, un gruppo piuttosto fedele, di una cinquantina di persone, ha seguito il professore nella ricostruzione dei vari sessantotto: quello statunitense, che è stato il primo, quello giapponese, quello sudamericano, e ovviamente quello europeo e in particolare italiano. Ma, se i sessantotto sono stati molti e diversi, non si può negare che abbiano avuto una matrice comune, che abbiano in qualche modo costituito un fenomeno unico.

 

In effetti, più che rievocare i fatti- certo, fondamentale- si è trattato soprattutto di ripensarli, come recitava il titolo scelto dal professore. Ma come potremmo noi ripensare a quegli eventi, che paiono ormai così distanti dai tempi e dalle problematiche odierne, se non pensando in effetti a quanto di quel fenomeno in fondo unitario è arrivato fino a noi?

 

Il professor Pagani ci ha, così, condotto in una riflessione di ampio respiro, che ha coniugato la musica con la filosofia, la storia minima con le grandi dinamiche e tematiche della modernità. Ciò che ne è emerso è un fenomeno, come lo ha definito il professore, essenzialmente vitalistico. I ragazzi, in effetti, soprattutto universitari, che animarono in più parti del mondo la “contestazione”, si appoggiavano sulle loro letture, ma erano spinti da forze di rinnovamento che venivano dalle loro frustrazioni quotidiane, dai loro desideri profondi. In questo, gli spunti del movimento erano più che buoni. E questo portò anche a dei risultati molto buoni, che sono ancora visibili in alcune legislazioni che diamo oggi per scontate. Tuttavia, la storia ci insegna che questo slancio non sempre ha saputo raggiungere il suo acme in maniera matura: lentamente, il movimento ha cominciato a decadere, fino a integrarsi nelle maglie del sistema che intendeva cambiare.

 

Secondo il professor Pagani, dunque, le intuizioni del Sessantotto, anche se magari non tutte, erano in gran parte condivisibili; ma l’impeto iniziale non è stato ben coltivato, e quindi si è ridotto nel tempo, non ha raggiunto la sua maturazione. Un esempio chiaro, per capire meglio, è il celeberrimo discorso di Mario Savio, studente di Berkeley, tenuto di fronte ai suoi colleghi il 2 dicembre 1964. Le sue parole, di grande passione politica, negavano il diritto alla “macchina” universitaria di trattare gli studenti come pura “materia prima”, e che quella materia prima si sarebbe ribellata a essere modellata dal di fuori. Ecco: la domanda che ci rimane oggi è sempre la stessa, brutalmente attuale. La nostra università ha cessato di essere una macchina, un’industria, oppure sta perpetrando lo stesso identico meccanismo di cinquant’anni fa?